Abbiamo dato voce, e continueremo a farlo, alle tante madri disperate, abbandonate, chiuse in un tunnel che sembra non avere uscita. Ora sono molto felice, ma sempre con misura e cautela, di poter dare testimonianza di ben tre situazioni che si stanno evolvendo positivamente. La prima è proprio quella mia e di mio figlio Giacomo: nella foto il nostro abbraccio finalmente in comunità, dopo la reclusione e il tentato suicidio a Regina Coeli. Sono diversi mesi che il suo percorso di recupero, in una struttura a doppia diagnosi che finalmente risulta essere all'altezza della situazione, dimostra un importante progresso. Soprattutto la coscienza del problema e l'affidarsi per poterlo risolvere, ha donato a Giacomo una nuova direzione. Io continuo a pregare l'universo…
Ma voglio assolutamente lasciare lo spazio alla meravigliosa testimonianza di mamma Noemi:
Sono mamma di un bellissimo ragazzo di 24 anni che purtroppo, allo sbocciare della sua mascolinità, a di 17 anni, ha esordito anche con il suo primo attacco psicotico grave. Sempre stato un ragazzo difficile a scuola, sin dai primi anni delle elementari: intelligente ma molto irrequieto e con intelligenza emotiva che non ne voleva sapere di mettersi in pari con quella cognitiva.
Da allora si son susseguiti ben 3 TSO. La patologia diagnosticata è stata diversa ad ogni ricovero: attacco schizofrenico subacuto, disturbo schizoaffettivo, bipolarismo, disturbo antisociale ecc ecc. Il minimo comune denominatore in tutti questi attacchi (con esordio sempre nel periodo estivo più caldo), l'abuso di cannabinoidi e alcool. È stato fatto un lungo e sofferto percorso tra ricoveri, soggiorni in centri non adeguati, fughe, apparenti riprese e crolli sempre più difficili da gestire. Alla fine, nel 2021, sotto l'effetto di sostanze e psicofarmaci, l'ha combinata grossa commettendo un reato penale piuttosto grave e rendendo nota la sua pericolosità sociale. Così il DSM si è finalmente mosso per metterlo in una struttura di recupero psichiatrico. Per garantire la sua permanenza nel centro e le cure necessarie, siamo dovuti ricorrere alla sua interdizione... Un peso sulla coscienza enorme per un genitore, ma piuttosto che vederlo morire per strada di stenti, o in carcere, ci siamo adoperati tra avvocati e perizie mediche per salvarlo e dargli una nuova opportunità. Di vitale importanza è stato il gruppo di volontari Dia.PSI locale che ha saputo supportarci e consigliarci. Da allora mio figlio ha cambiato ben 3 comunità. È stato anche in un centro, lontano da casa, per pazienti a doppia diagnosi molto gravi e in uno stato degenerativo mentale molto avanzato. È stata un'esperienza forte, ma lì si è reso forse conto del rischio che stava correndo e ha iniziato pian piano ad acquisire un barlume di coscienza di malattia. Da quasi un anno a questa parte mio figlio si è avvicinato a casa e sta in un centro in mezzo alle montagne in un piccolo villaggio rurale a 1350 metri di altitudine. Quì ha trovato cibo sano a km 0, aria pulita, natura incontaminata e un compagno di stanza con il quale condividere la passione per la musica e con il quale è nata anche una bella e sana amicizia. Ha anche iniziato a giocare in una squadra di calcio locale e a lavorare come tirocinante in una associazione di volontariato. Il personale del centro è molto severo ma attento alle esigenze dei pazienti. Ci sono regole ferree come in caserma che i ragazzi più giovani inizialmente sono reticenti a seguire, ma che alla fine si rivelano essere la loro salvezza. Sia la direttrice che la psichiatra del centro sono persone appassionate per il loro lavoro, oltre che professionalmente molto preparate, e questo sicuramente fa la differenza. Inoltre la collaborazione stretta con le famiglie è fondamentale.
Sono trascorsi quasi 7 lunghissimi anni dall'inizio di questa odissea e so che sarà ancora lunga, ma dalla disperazione più nera, passo dopo passo, iniziamo a vedere una luce in fondo al tunnel. Sono stati fatti enormi progressi grazie a cure, regole, pazienza, acquisizione di coscienza di malattia e di pericolosità delle droghe da parte di mio figlio. È un giovane uomo con tanti buoni propositi e con tutta la vita davanti a sé. Certo non si può ancora cantare vittoria e si è sempre in allerta ma il messaggio che vorrei trasmettere a chiunque stesse vivendo questo calvario è quello di non perdere la speranza e la pazienza, anche nei momenti più bui, e continuare a sperare e combattere per la salute dei propri cari. I risultati, pian piano arrivano. Sono ragazzi speciali ma fragili in un'era difficile, non dobbiamo sentirci in colpa di chiedere aiuto a professionisti per aiutarli nel loro cammino di guarigione. Infine è molto importante che noi aiutiamo noi stessi a sopportare tutto questo, perché siamo l'unica colonna di supporto che loro abbiano! Ecco perché è di vitale importanza vincere il tabù dello stigma della malattia mentale ed entrare in contatto con gruppi o associazioni di parenti di psichiatrici e confrontarsi con persone che abbiano vissuto esperienze simili alle nostre. Le prime sensazioni che si avvertono quando si scopre di avere un caro con una patologia mentale, sono uno smarrimento totale e un fortissimo senso di solitudine; come fosse una terribile disgrazia che abbia colpito solo noi nell'intero universo. In realtà non è affatto così e unire le nostre forze con altri può fare la differenza.
Infine, il nostro papà Paolo, che ci racconta nel suo bellissimo libro, come il lungo calvario si stia trasformando, in un percorso di speranza e risultati concreti, grazie anche al buon lavoro della comunità finalmente risultata idonea.